Aveva scoperto che il figlio era gay e non lo accettava.
La sessualità del ragazzo, da poco maggiorenne, era diventata un’ossessione. Ha cominciato a seguirlo, l’ha spiato su Facebook, ha controllato i suoi messaggi e quando ha scovato la data e l’ora di un appuntamento, non ci ha pensato due volte. Con un amico si è appostato in una piazzola di un distributore di benzina e ha aggredito in piena notte il fidanzato del figlio. Insomma, per farla breve, minacce con la pistola, botte, pugni e una prognosi di 90 giorni per varie ferite in varie parti del corpo.
Una vera e propria persecuzione, quasi a ricordare quello che accadeva solo pochi decenni fa. L’omosessualità come reato, è stato in vigore in diversi Stati degli Stati Uniti d’America fino al 1980. In Europa, è celebre la sentenza del 1981 Dudgeon vs. Regno Unito della Corte Europea dei Diritti Umani nella quale la Corte di Strasburgo si è espressa contro le norme penali sui rapporti omosessuali che erano ancora in vigore in Irlanda del Nord. Norme che, secondo la Corte, violavano l’articolo 8 della CEDU, secondo cui “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata”.
Anche se nel 1994, la Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha stabilito che le leggi che discriminano gli omosessuali violano il diritto alla privacy garantito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e il Patto internazionale sui diritti civili e politici, l’Italia continua a tenere la distanza dalla possibilità di aprirsi al nuovo, di seguire una linea guida che gli permetterebbe di allinearsi con gli altri stati.
Cosa provoca tutto ciò? Una cultura arenata? La perdita di un senso civico e civile? La mancanza di responsabilità? Ad oggi non esiste ancora una legge contro l’omo-transfobia, ed è certo che questa mancanza impedisce lo sviluppo di nuovi modelli educativi capaci di costruire una società i cui principi possano fondersi sulla valorizzazione delle differenza e sul rispetto della libertà di ciascuno.
Cosa può spingere un padre a diventare il flagello di un figlio che ha come colpa quella di amare, solo in una forma “diversa”?
Non si vuole mettere in croce nessuno, né cercare di entrare nelle delicate dinamiche che determinano certi equilibri familiari ma è importante fermarsi e riflettere sul come sia possibile tutto ciò.
La responsabilità è di una società incapace di fornire quegli strumenti utili per capire la diversità, per entrare in contatto con l’altro facendo della diversità un bene comune, una fonte di ricchezza e di crescita per tutta la comunità.
Responsabilità, da latino respondere, promettere, indica facoltà, possibilità. Ed è proprio da questa parola che ci piace ripartire consci che è responsabilità di ognuno di noi, e dunque della società intera, spingerci verso quelle domande che tutta la comunità LGBTQI continua a porsi e trovare prima o poi, nuove risposte, risposte di tolleranza, di accoglienza, accettazione e amore.
Il lavoro di sensibilizzazione e di ri-educazione è ancora molto, ma non ci arrendiamo in quanto confidiamo nella possibilità che un giorno non ci sarà più bisogno di scrivere comunicati stampa per eventi come quelli accaduti ad Alba, in quanto questi eventi non ci saranno più.
Tessere le identità c’è, e ci vuole essere, non solo sostenendo quelli come “NOI”, ma stando vicino a tutti coloro che credono nella cultura, nella conoscenza e nella responsabilità di vivere pienamente la libertà propria e quella altrui.
Stefania Cartasegna
Presidente di Tessere Le Identità