Leelah Alcorn, una vita non vissuta

"Il primo pensiero che mi viene è il paragone del “bruco che diventa farfalla” solamente chiudendosi su sé stesso e morendo il bruco può rinascere splendida farfalla, lui lo sa dal duo DNA e compie il percorso; Josh sapeva che nel suo DNA c’era scritto il nome Leelah e sapeva, desiderava, aspettava il momento di poter ritrovarsi finalmente farfalla.
il secondo pensiero mi viene dal mio passato di educatore scout quanti bambin*, ragazz* ho visto già programmati dai genitori per essere, fare, diventare quello che aspirano i genitori senza che vengano tenute in considerazione le aspettative dei ragazz*; educare (dal latino educere) significa tirare fuori quello che c’è dentro, non mettere dentro quello che piace o si pensa che sia utile ad altri.
il terzo pensiero è rivolto alla religione, quanto male fa agli altri la lettura parziale e  fondamentalista di un solo brano pensando che quattro righe possano racchiudere un pensiero che si sviluppa su oltre duemila pagine.
il quarto pensiero la necessità di sbandierare ai quattro venti “Le cose cambiano” per dare una possibilità in più a chi è in attesa di diventare farfalla."

Sergio

 

Se state leggendo questo messaggio, vuol dire che mi sono suicidata e ovviamente non ho cancellato questo post dalla lista di quelli programmati.

Per favore, non siate tristi. È meglio così. La vita che avrei avuto non vale la pena di essere vissuta… perché sono transgender. Potrei scendere nei particolari per spiegare perché mi sento così, ma questo messaggio sarà già abbastanza lungo senza che lo faccia. In parole povere, mi sento come una ragazza intrappolata nel corpo di un ragazzo e mi sono sentita in questo modo dall’età di quattro anni. Non sapevo che ci fosse una parola per questo modo di sentire, né che fosse possibile per un ragazzo diventare ragazza, perciò non l’ho detto a nessuno e ho continuato a fare le cose tradizionalmente “da maschio” per cercare di essere accettata.

Quando avevo 14 anni, ho imparato che cosa significa “transgender” e ho pianto di felicità. Dopo 10 anni di confusione, avevo finalmente capito chi sono. L’ho detto subito a mia madre ma lei ha reagito in modo estremamente negativo, dicendomi che stavo attraversando una fase e che non sarei mai stato una ragazza, perché Dio non fa errori ed ero io che sbagliavo. Se state leggendo questo messaggio, genitori, per favore non parlate così ai vostri figli. Anche se siete cristiani o siete contrari ai transgender, non dite mai una cosa del genere a qualcuno, specialmente a vostro figlio. Non avrà alcun risultato se non quello di far si’ che odi se stesso. È quello che è successo a me.

Mia madre ha iniziato a portarmi da un terapista, ma solo da terapisti cristiani (pieni di pregiudizi) perciò non ho mai ricevuto la terapia che mi serviva: per la depressione. Invece, mi è toccato ascoltare altri cristiani che mi dicevano che sono egoista e che sbaglio e che dovrei chiedere aiuto a Dio.

Quando avevo 16 anni mi sono resa conto che i miei genitori non avrebbero mai capito e che avrei dovuto aspettare di avere 18 anni per poter iniziare un trattamento di transizione, e questo mi ha completamente spezzato il cuore. Più aspetti, più difficile è la transizione. Mi sono sentita senza speranza: sarei stata un uomo vestito da donna per il resto della mia vita. Nel giorno del mio sedicesimo compleanno, quando i miei genitori non mi davano ancora il loro consenso, ho pianto e piano e alla fine ho preso sonno.

Ho assunto una sorta di atteggiamento di sfida nei confronti dei miei genitori e ho detto a tutti a scuola che sono gay, pensando che in questo modo sarebbe stato meno scioccante più avanti rivelare che sono trans. Anche se la reazione dei miei amici è stata positiva, i miei genitori erano arrabbiati. Si sentivano come se stessi minando la loro immagine, per loro ero fonte di imbarazzo. Volevano che fossi il loro perfetto ragazzino cristiano, e questo non era ovviamente quello che volevo io.

Perciò mi hanno fatto lasciare la scuola pubblica, mi hanno tolto il computer portatile e il telefono e mi hanno proibito di usare i social media, isolandomi completamente dai miei amici. Questo è stato probabilmente il periodo più infelice della mia vita, il periodo di più profonda depressione e sono sorpresa di non essermi uccisa allora. Sono stata in completa solitudine per cinque mesi. Nessun amico, nessun supporto, nessun amore. Solo la delusione dei miei genitori e la crudeltà della solitudine.

Alla fine dell’anno scolastico, i miei genitori finalmente hanno cambiato idea e mi hanno restituito il telefono e il permesso di usare i social media. Ero eccitata, finalmente avevo di nuovo i miei amici. E anche loro erano estremamente eccitati di potermi vedere e di poter parlare con me, ma solo all’inizio. Mi sono resa conto alla fine che anche a loro non interessava granché di me e non mi sono mai sentita così sola. Gli unici amici che pensavo di avere erano contenti di vedermi solo quando succedeva cinque volte la settimana.

Dopo un’estate praticamente senza amici, più il peso di dover pensare all’università, dover risparmiare per poter andare a stare via da casa, continuare ad avere buoni voti, andare in chiesa ogni settimana e sentirmi una merda perché tutti erano contrari a tutto ciò per cui vivevo, ho deciso di averne abbastanza. Non riuscirò mai ad avere una vera transizione, nemmeno quando andrò via da casa. Non sarò mai felice del modo in cui appaio. Non avrò mai abbastanza amici. Non avrò mai abbastanza amore. Non troverò mai un uomo che mi ami. Non sarò mai felice. La scelta è tra vivere il resto della mia vita come un uomo solo che vorrebbe essere una donna, oppure vivere come una donna ancora più sola che odia se stessa. Non posso vincere. Non c’è via d’uscita. Sono già abbastanza triste e non ho bisogno che la mia vita peggiori ancora. La gente dice che col tempo la situazione migliora, ma non è vero nel mio caso. Diventa peggio. Ogni giorno è peggio.

Questa è la situazione, ed è per questo che voglio uccidermi. Mi spiace se secondo voi non è una buona ragione, ma lo è per me. Per quanto riguarda il mio testamento: voglio che il 100% delle cose che mi appartengono vengano vendute e i soldi (insieme ai soldi che ho lasciato in banca) vengano donati ai movimenti per i diritti civili e ai gruppi di sostegno per i trans, non mi importa a quale gruppo in particolare. Potrò riposare in pace solo se un giorno i transgender non verranno trattati nel modo in cui sono stata trattata io, ma da esseri umani, con sentimenti validi e diritti umani. Le questioni di genere devono essere insegnate a scuola, prima possibile. La mia morte deve significare qualcosa. La mia morte deve essere contata nel numero dei transgender che si sono uccisi quest’anno. Voglio che qualcuno si renda conto di quel numero e dica che è una fottuta ingiustizia e sistemi le cose. Correggete la società. Per favore.
 
Addio,
(Leelah) Josh Alcorn

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